Sono bravo nel mio lavoro, molto.Forse un po’ sottovalutato e, ovviamente, sottopagato (come, purtroppo, la maggior parte dei giovani oggi, ndr) ma non demordo e spero sempre di “arrivare” un giorno (non so dove ma da qualche parte arriverò).
Dal lato umano, invece, ci sono ancora un po’ di cose da sistemare, diciamo…
Sicuramente lunatico, alterno stati di euforia esagerata a profonda malinconia e tristezza. Anzi, direi più il contrario visto che l’ultima prevale nettamente sulla prima.
Ci ho provato in tutti i modi, ci provo, a lasciarmi le cose alle spalle, a farle scivolare via, a dosare le mie emozioni e a spenderle per ciò che davvero vale la pena coltivare.
Ma avrete capito che i risultati sono piuttosto scarsi.
“Al cuor non si comanda“, dicevano, ma anche alla testa non è mica cosa da ridere, eh!
Sono tutto fuorché perfetto, intendiamoci, ma mi spendo, mi spendo tanto per trovare un equilibrio mio in un mondo che di equilibrato non ha nulla.
E la cosa che mi stupisce è che se ne parlo con qualcuno sembro un alieno, un folle che si fa menate per qualcosa che gli altri nemmeno vedono.
Sono cresciuto a pane e Dawson’s Creek, lo ammetto, e questo non ha di certo giovato alla mia salute mentale.
Sono cresciuto in una piccola realtà di provincia dove tutto sembrava ancora “sistemabile”.
Catapultato a Milano, invece, mi sembra che di sanabile ci sia ben poco. E per quanto Joey Potter sia, francamente, un modello idealizzato e drasticamente irraggiungibile, ammetto che un pizzico di quella ingenuità adolescenziale mi è rimasta e avrei sperato di coltivarla.
Ahimè, invece, se n’è andata la spensieratezza e pure la giovinezza. Ma mi è rimasta l’ingenuità.
Quella che continua a fregarmi, quella che mi tende la mano ma che è sempre pronta a farmi lo sgambetto per vedermi cadere e ridere di me, quella che mi fa vedere ancora il bene negli occhi della gente anche quando di bene non c’è nemmeno traccia.
La gente è egoista e dannatamente superficiale.
Prende tutto come un gioco perché, tanto, è già difficile vivere per cui non vale la pena complicarsi ulteriormente la vita.
E allora si vive così, alla giornata, in una sorta di roulette russa dove speri sempre che qualcosa capiti “all’altro” e mai a te; dove ogni cosa vale la pena di essere vissuta senza pensare ad un minimo di conseguenze (perché, francamente, qualcosa può anche non essere vissuto, ndr).
Si vive tirando la corda, camminando sul filo dell’alta tensione, magari per esorcizzare e lasciarsi alle spalle una settimana pesante, non calcolando che quella dopo sarà pressoché uguale alla precedente e che la vita sarà sempre così, dove tutto tornerà ciclicamente.
Io vorrei pensare, invece, che non sia tutto così. Ma, ahimè, non ho esempi confortanti attorno.